L'angolo del Cinema
Recensione del Film : Lion - la strada verso casa. A cura del Bolognese Volante
Titolo originale
Lion
Lingua originale
Paese di produzione
Australia, Stati Uniti d'America, Regno Unito
Anno
Durata
118 min
Saroo Brierley, Larry Buttrose (memorie)
Iain Canning, Angie Fielder, Emile Sherman
Andrew Fraser, Daniel Levin, Andrew Mackie, Shahen Mekertichian, Richard Payten, Harvey Weinstein
See-Saw Films, Aquarius Films, Screen Australia, Sunstar Entertainment, The Weinstein Company
Distribuzione (Italia)
Volker Bertelmann, Dustin O'Halloran
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Dev Patel: Saroo Brierley
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Nicole Kidman: Sue Brierley
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Rooney Mara: Lucy
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David Wenham: John Brierley
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Sachin Joab: Bharat
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Pallavi Sharda: Prama
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Emilie Cocquerel: Annika
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Arka Das: Sami
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Abhishek Bharate: Guddu Khan
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Sunny Pawar: Saroo bambino
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Divian Ladwa: Mantosh Brierley
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Priyanka Bose: Kamla Munshi
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Deepti Naval: Saroj Sood
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Tannishtha Chatterjee: Noor
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Rita Boy: Amita
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Nawazuddin Siddiqui: Rawa
Attenzione: la recensione contiene anche la trama del film.
Ci sono film, come città o panorami, che vi hanno raccontato essere belli. Alcuni quando li avete visti vi hanno deluso, non erano come vi aspettavate che fossero dai racconti. Altri erano degni dei racconti. Ed infine alcuni vi sono risultati ancora meglio dei racconti.
Il film Lion, la strada verso casa, rientra in questa ultima casistica. A mio avviso meritava il premio Oscar.
La trama è semplice.
Un bambino di 5-6 anni, Saroo, vuole aiutare il suo fratello più grande, Guddu. Pur di farlo, Saroo una notte segue suo fratello Guddu che va a caricare delle balle di fieno per guadagnare due rupie. In una prima fase del film infatti ci viene mostrata una famiglia estremamente povera. La madre lavora in una pietraia, sposta delle pietre con le mani, onestamente non ci viene fatto capire il perché, ma poco importa. Guddu e Saroo durante le loro giornate ci viene fatto capire che vivono di piccoli espedienti per sopravvivere.
In una scena infatti essi rubano del carbone da un treno in corsa, che non va più forte di un nostro scooter, e lo rivendono in cambio di due buste di latte. La composizione della famiglia termina con una sorellina piccola, anche quella una bocca da sfamare.
La casa, che si vede una sola volta nel film, appare assai lontana dai nostri standard, una sorta di tugurio, senza luce elettrica e senza acqua corrente. Nessuna presenza maschile, la figura del padre, assente, non viene mai citata, mai pervenuto. Non viene spiegato nulla al riguardo.
Guddu lascia il suo amato fratellino a dormire su una panchina della stazione di Khandwa, capoluogo del distretto di Khandwa, nello stato federato del Madhya Pradesh. India centrale. Saroo si sveglia, nel cuore della notte, solo, impaurito, si guarda attorno, smarrito, e cerca un riparo. Lo trova nel vagone di un treno, fermo e vuoto nella stazione. Vi sale sopra.
Qui comincia il film.
Saroo si sveglia, e si rende conto di essere su un treno in movimento! Cerca di scendere, ma è tutto chiuso. Grida disperatamente aiuto, chiama “mamma”, urla “Guddu”… ma inutilmente. Saroo passa su quel treno la bellezza di due giorni. Vede passare paesaggi a lui sconosciuti, stazioni per lui misteriose. Finalmente il treno si ferma. Un ferroviere apre la porta. Ad attendere Saroo fuori una calca di persone infinita! Saroo si arrampica al primo palo utile, e tutto quello che vede è una folla anonima di gente. Ha un bel gridare, Saroo, “mamma…mamma”, “ Guddu… Guddu”. Saroo è finito nella megalopoli indiana di Calcutta. A 1.600 chilometri dal suo villaggio. Non parlano nemmeno la sua lingua, qui, a Calcutta, si parla il bengali. Per cui si aggiunge anche questa ulteriore difficoltà, non indifferente, di non capirsi con le persone che lo circondano. Solo alcuni che incontrerà, infatti, parlano la sua, di lingua, l’Hindi.
Lo attendono due mesi di vita dura, un mondo spietato da cui deve guardarsi con attenzione. Saroo crede di aver trovato riparo in uno dei numerosi sottopassaggi della città, dove ci sono altri bambini abbandonati come lui. Dormono su giacigli improvvisati, come dei cartoni aperti. Ma si devono guardare dagli adulti. Di notte, tutta ad un tratto, arrivano degli adulti a rapirli. Saroo si sveglia e sconcertato realizza abbastanza velocemente che è meglio non scoprire la destinazione del rapimento. E’ il più fortunato di tutti, ed anche l’unico a riuscire a scappare. Fugge sotto gli occhi di un poliziotto che assiste a tutta la scena senza battere ciglio, e soprattutto, senza intervenire. Saroo nel suo peregrinare in mezzo a discariche incontra una bella signora, gentile, che lo porta a casa, li rifocilla, lo lava. Sembrerebbe volerlo aiutare, ma quando arriva un suo amico, Raa, Saroo intuisce istintivamente esserci qualcosa che non va.
Circa 80.000 bambini ogni anno in India vengono abbandonati. Molti di essi finiscono nel traffico di organi o della pedofilia.
Raa dimostra attenzioni a Saroo che il bambino intuisce non essere amichevoli. Appena possibile Saroo fugge lasciando di stucco la signora che vede sfumare la sua ricompensa. Saroo fa la fame, e guarda un indiano ricco mangiare la sua zuppa. Saroo lo scimmiotta, con il suo cucchiato trovato in una discarica. Il ragazzo che mangia la sua zuppa lo nota, e lo accompagna ad una stazione di polizia.
Qui Saroo non è in grado di spiegare da dove viene. Cita una città che però la polizia non trova sulla mappa dell’India. La piccola cittadina in realtà esiste, si tratta di Ganesha Talai, distante solo pochi chilometri da Khandwa.
Ma Saroo non la sa pronunciare correttamente, quel nome, e gli adulti non hanno fantasia, nel cercare un nome che abbia una assonanza con il nome che conosce lui. Vengono pubblicate delle sue fotografie sui principali quotidiani indiani, ma la madre è analfabeta, e non li leggerà mai. Così Saroo finisce in un orfanatrofio a Calcutta. Da qui verrà scelto da una coppia di Hobart, capitale della Tasmania, un’isola del sud dell’Australia. Un vero paradiso terrestre. L’incontro con i suoi nuovi genitori è toccante, una bellissima interpretazione di Nicole Kidman. L’entrata nella sua nuova casa appare allo spettatore come quando si entra in un tempio.
Dal nulla della sua casa al suo villaggio, al troppo di questa dimora di una tipica famiglia borghese australiana. Saroo sembra adattarsi comunque molto bene, molto amato dalla sua nuova mamma e dal suo nuovo papà, peraltro quello vero non si sa chi sia.
Dopo poco la sua nuova famiglia gli presenta un fratellino, Mantosh, questo molto problematico. Mantosh in realtà proviene dallo stesso orfanatrofio di Calcutta da cui proveniva Saroo, e lo aveva già incontrato. Mantosh è un bambino molto problematico, probabilmente per i suoi difficili trascorsi, autolesionista e violento. Il regista Garth Davis ci presenta un salto temporale di venti anni.
Saroo è ormai adulto, è diventato un bel ragazzo, e sta pianificando il suo futuro. Durante una cena con amici, di origine indiana, in cucina nota una cosa che lo turba profondamente e cambierà il corso della sua tranquilla vita australiana. Ciò che lo turba sono degli, apparentemente, innocui “jalebi”. Gli “jalebi” sono dei dolci tipici della Persia, e del sub continente indiano.
Saroo vedeva questi dolci nei mercatini che bazzicava con suo fratello Guddu, ma non potevano permetterseli. Guddu diceva sempre a suo fratello che un giorno gliene avrebbe comprati migliaia, di jalebi. Ora erano lì, davanti ai suoi occhi. Ma non c’era Guddu.
Qui comincia la seconda parte del film.
Saroo confida questo episodio, questo forte turbamento, subito ai suoi amici, che lo esortano a cercare di ricordare qualcosa, dei dettagli, in modo da poter ricostruire le tappe del suo viaggio e poter così rintracciare il suo villaggio e la sua famiglia. Ma l’operazione si dimostra disperata. Uno dei suoi amici infatti, razionalmente, spiega come Saroo possa aver percorso, in due giorni, una distanza approssimativa, tra i 1.400 / 1.600 chilometri, facendo una stima della velocità dei treni indiani del periodo. Il che significa vagliare migliaia di stazioni dell’India, insomma, un’operazione disperata. Saroo è colto da una crisi di melanconia, una sorta di rimorso, per aver abbandonato, seppur involontariamente, sua madre e suo fratello Guddu e la sua sorellina. Saroo, che nel frattempo ha conosciuto una bellissima ragazza con cui si mette insieme, comincia ad avere sogni ricorrenti, in cui immagina di incontrare sua mamma nella pietraia dove questa lavorava, e sogna di chiederle scusa. Questa fase diventa una ossessione che mette a rischio i suoi rapporti sia con la compagna che con la sua nuova famiglia. Saroo sviluppa un grafico che appende ad una parete evidenziando tutte le possibili centinaia di stazioni da cui potrebbe essere passato. Sempre vicina a lui si dimostra la sua nuova mamma, da cui ha il massimo appoggio.
Commovente la scena dove Nicole Kidman rivela come anche la sua adolescenza non sia stata facile, per via di un padre alcolista e violento. Ma che lei ebbe una visione, quando era dodicenne, in uno dei tanti episodi di litigio tra i suoi genitori, lei uscì, e ebbe la visione di un bambino, come lui, proprio come Saroo, che le si avvicinò. E di come lei si sentisse così bene, di come non fosse mai stata così bene prima di quel momento. E di come lei si ripromise che non avrebbe voluto avere dei bambini suoi, ma adottare dei bambini che soffrivano, per alleviare le loro sofferenze, per rendere migliore questo mondo. E di come fosse stupita quando le autorità indiane le mostrarono la sua foto, la foto di Saroo da bambino: era lo stesso bambino che lei aveva avuto nella sua visione.
La crisi di Saroo peggiora, lascia il suo lavoro, entra in crisi il rapporto con la sua compagna. Ma…
In uno dei momenti di massimo sconforto, quando non sembrava esserci nessuna reale probabilità, Saroo, facendo delle zoomate in zona Khandwa, riconosce dei paesaggi… i ricordi scorrono a fiumi…e piano piano, scorrendo le immagini con Google Earth, fino ad arrivare a localizzare la propria casa! E finalmente, a conoscere il nome del villaggio dove aveva trascorso i suoi primi 5 anni di vita: Ganesha Talai.
Ora nulla gli potrà impedire di intraprendere un viaggio a ritroso nel tempo e nello spazio, con l’appoggio pieno della sua compagna e della sua nuova famiglia, che anzi, lo incoraggiano ad andare incontro alla sua vera madre. Saroo, finalemte, si trova a ripercorre gli stessi tragitti di faceva sempre con suo fratello Guddu che avevano accompagnato anche noi spettatori, fino ad arrivare alla sua casa.
Ma il tempo è passato, e la sua casa non è più quella di una volta, ma è diroccata, è diventata un ovile per delle pecore.
Siamo al finale del film. Saroo incontra un signore che gli chiede se ha bisogno di qualcosa. Saroo gli spiega che quella era la sua casa, che lì abitava sua mamma, di cui pronuncia il nome. Il signore ci pensa, perplesso, e gli dice di aspettare, che va a chiedere ad altri abitanti del villaggio. Poco dopo Saroo vede arrivare il signore, con dietro una specie di processione di persone. In cima a questa processione Saroo riconosce sua madre… L’incontro non può che essere commovente. Saroo incontra anche la sua sorellina, nel frattempo diventata una splendida ragazza. Dopo un primo momento fatto di toccante tenerezza per un incontro troppo a lungo atteso, Saroo rivolge a sua madre una fatidica domanda che ci stavamo facendo tutti: “mamma, dov’è Guddu”?
La mamma in lacrime gli racconta che Guddu è morto poco dopo averlo lasciato sulla panchina della stazione di Khandwa, finendo sotto un treno.
Il film termina mostrando le foto dei veri protagonisti della storia, tra cui una, bellissima, in cui la nuova madre e la vera madre, si abbracciano, in quel di Ganesha Talai.
Note.
Ciliegina sulla torta, Saroo pronunciava male il suo nome, che in realtà era Sherù, che significa Lion = Leone.
La bravura del piccolo protagonista, Saroo, interpretato da Sunny Pavar, è disarmante.
Recita con gli occhi, occhi così grandi e profondi che il regista per quasi tutto il film decide di fare vedere alcune scene come se fossero viste appunto da quegli occhi, e questo permette allo spettatore di immergersi totalmente nella storia.
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Recensione by Bolognese Volante 19 giugno 2017